Riuscirà il ddl Zan a superare lo scoglio del Senato e arrivare in porto? In tanti e tante, da generazioni, si battono perché questo accada. Alcune forze politiche e non pochi media – contro il parere favorevole della maggioranza degli italiani confermato da tutti i recenti sondaggi – remano contro e lavorano perché la legge venga, per l’ennesima volta, affossata.

Il principio antidiscriminatorio

La proposta viene da lontano, da un testo di Arcigay steso nel 1996, poco dopo il varo della legge Mancino, la cosiddetta “legge anti-naziskin” che, nel 1993, aveva introdotto nuove protezioni contro le discriminazioni basate su razza, etnia, nazionalità e religione. Il principio era chiaro e giuridicamente solido: non si trattava di difendere in modo rafforzato alcuni cittadini rispetto ad altri, ma di salvaguardare il principio antidiscriminatorio sancito dall’art. 3 della nostra Costituzione, riconoscendo tutela specifica alla dignità di alcune condizioni personali oggetto di crimini d’odio. Già allora appariva chiaro che le persone omosessuali o transessuali erano anch’esse un bersaglio frequente di azioni discriminatorie e aggressioni violente. Lasciare fuori da quella legge queste soggettività non solo le privava della tutela necessaria, ma finiva per additarle come categorie non meritevoli di tutela lasciandole esposte. Da allora in ogni legislatura si sono succedute proposte di legge sullo stesso tema, mai discusse nelle aule parlamentari fino all’approvazione alla Camera, nel 2013, di un testo poi insabbiato in Senato.

Adesso si presenta di nuovo quell’occasione, con un testo già votato dalla Camera ed approdato in commissione Giustizia del Senato, dove il presidente leghista Andrea Ostellari se le sta inventando tutte per impedire che venga inviato in aula per l’approvazione, fino alla provocazione di un’audizione con 170 esperti.

I contenuti del ddl

La proposta, che prende il nome dal deputato Pd Alessandro Zan, relatore alla Camera, ha un titolo lungo, che dà la complessità dell’intervento previsto: “Misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità”. Vengono elencati così in modo dettagliato i destinatari degli interventi: le donne, le persone gaylesbichebisessuali e trans, quelle con disabilità. Identità diverse fra loro, alcune minoranza numerica, altre, le donne, maggioranza nel paese ma comunque oggetto di misoginia, di discorsi d’odio, di disprezzo, talvolta violento, per la loro identità.

La legge estende le misure previste dalla legge Mancino e dagli articoli 604-bis e 604-ter del codice penale che hanno recepito parti di quella legge. Si estenderebbe così l’istigazione a delinquere e la tutela da atti discriminatori e violenti, ma non la “propaganda di idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico” che resterebbe limitata a questi fattori di discriminazione. Fa sorridere quindi la critica secondo cui questa sarebbe una legge pericolosa per la libertà di espressione, tanto più che l’art. 4 ribadisce che “Ai fini della presente legge, sono fatte salve la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime conducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte, purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti”.

Nessun limite, quindi, alla libertà di espressione se non quello già consolidato dalla giurisprudenza delle corti italiane ed europee, secondo le quali anche quella libertà trova un limite nella difesa della dignità e delle libertà altrui.

La proposta prevede anche l’istituzione del 17 maggio come Giornata contro l’omolesbobitransfobia, una ricorrenza già formalizzata dall’Unione europea nel 2004 e ricordata da allora ogni anno, fra l’altro, da un messaggio del nostro Presidente della Repubblica. Destre e fondamentalisti cattolici sono insorti contro la previsione che le scuole possano ricordare la giornata con iniziative di contrasto a pregiudizi discriminazioni e violenze dimenticando che questi interventi sono già previsti sin dal 2015 dalla legge 107 sulla “buona scuola”.

Si prevedono inoltre una strategia antidiscriminatoria a cadenza triennale da parte dell’UNAR, l’ufficio antidiscriminazioni presso la Presidenza del Consiglio, l’attivazione di specifici centri antiviolenza e una rilevazione statistica, pure triennale, da parte dell’ISTAT. Ad oggi infatti, in assenza di dati ufficiali sugli atti discriminatori o violenti ai danni delle persone Lgbti, gli unici sono quelli raccolti dall’osservatorio sui media di Arcigay, che raccontano di centinaia di episodi l’anno.

Il tempo è scaduto

La legge serve a ridurre quell’odio e quella violenza e a ridare respiro e dignità a gruppi di cittadini e cittadine che ancora troppo spesso portano il peso del disprezzo e della negazione della loro dignità. Chi oggi chiede di modificare quel testo, magari con la scusa di volerlo migliorare, sa bene che un rinvio alla Camera per la terza lettura rappresenterebbe la sua morte certa. Il tempo è davvero scaduto, come si leggeva nei cartelli delle tante piazze italiane che ne hanno chiesto a gran voce l’approvazione rapida. La politica non si assuma la responsabilità di avere chiuso di nuovo la porta in faccia a chi reclama da decenni pari dignità e difesa della propria incolumità.

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