Quanto pesa il valore della cultura come strumento strategico per la rigenerazione urbana? Quaranta soggetti differenti tra loro, per funzione, ruolo e appartenenza geografica, hanno dialogato e si sono confrontarti su questo tema in maniera originale, franca e propositiva, a Roma l’8 giugno, in Futuro Periferie: La Cultura rigenera.

I curatori hanno dato voce a esperienze di successo, traendone sollecitazioni utili alle istituzioni per agire, interpretando la cultura come strumento di sviluppo sociale ed economico. Alcuni punti emersi dal convegno sono pietre miliari per costruire nuove politiche.

Il primo e dirimente: un mondo nuovo ha bisogno di parole nuove. Occorre sostituire il termine periferie, parola stretta, limitante e inadeguata per raccontare alcuni luoghi strategici del nostro territorio. Maurizio Carta dell’Università degli Studi di Palermo conia un neologismo efficace e denso di significato: poliferie, che richiama la capacità di questi luoghi di essere insieme generatori di molteciplità e di costruire città, urbanità e comunità (creato a partire dalla parole greche pólis ‘città’ e polýs ‘molto’ + phéro ‘portare’).

Segue a ruota il concetto che le poliferie non possono caratterizzarsi solo con la distanza da un centro, e in genere da un centro urbano. Occorre ampliare l’orizzonte e accogliere nel concetto anche le Aree Interne e quei centri storici, o parte di centri storici, che vivono una stagione di crisi (per esempio San Berillo, il centro dell’Aquila, i piccoli comuni a rischio di spopolamento) e possono rigenerarsi attraverso politiche culturali.

Prima Rigenerare e poi Ristrutturare: prima della ristrutturazione fisica degli edifici, c’è la rigenerazione dei contenuti, la definizione delle priorità coniugata alla volontà di ridistribuire le risorse spostando i fondi pubblici dagli edifici ai progetti.

Con un’attenzione costante, perché come bene ha detto Giovanni Laino, dell’Università di Napoli, “dopo aver fertilizzato è necessario consolidare”. E i luoghi si rigenerano davvero se si consolidano attraverso la pratica delle azioni e relazioni quotidiane.

Legata al punto precedente c’è la capacità di cambiare. Rigenerare significa “essere pronti a ricominciare sempre da capo”, essere disposti ad andare incontro ai bisogni/desideri della comunità se cambiano. I luoghi abbandonati oggetto di rigenerazione e riuso sono luoghi precari, spazi incerti in cerca di un’identità, che chiedono di essere reimmaginati ogni giorno.

Introdurre nuovi strumenti, non solo regolativi e redistributivi di risorse. Bisogna cambiare il paradigma di partenza e attuare politiche pubbliche fondate sulla domanda e non sull’offerta, capaci di dare risposte e soluzioni, possibilmente agili e con tempi certi, dove c’è la domanda.

Non è più sufficiente che le istituzioni mettano a disposizione della comunità il patrimonio immobiliare per il suo riuso e basta: bisogna cambiare gli strumenti con cui gli spazi vengono messi a disposizione. E spesso più che inventarsi del nuovo c’è da smontare l’esistente, inteso come processi, procedure, bandi, che devono essere più agili e semplificati.

E compiere con coraggio anche una ‘rigenerazione umana’, investendo su nuovo personale (nuovo anagraficamente e con nuovi profili) e sulla formazione del personale amministrativo esistente, che si occupa di procedure e processi. Le parole d’ordine e le sollecitazioni messe in luce dall’incontro del MiBACT, sono state così tante e necessarie, che sarebbe uno spreco ignorarle e rinchiuderle in un cassetto.

Ci vuole del tempo per mettere insieme oggetti, soggetti e azioni, ma è urgente e necessario ragionare a sistema, imparando a riconoscere i territori da rigenerare e decidendo di investire nella cultura come infrastruttura di sviluppo. Investire con il coraggio di sperimentare, attraverso pratiche di riuso, nuovi mix funzionali. Investire sostenendo le iniziative dal basso, coinvolgendo le comunità in processi partecipativi, per creare benessere e lavoro.

E se la cultura è ciò che è capace di dare un nome alle cose, cominciamo davvero dal rinnovare le parole e introduciamo per questi luoghi vocaboli nuovi antichi nello stesso tempo, ma più visionari come poliferia. che contengono in sé elementi antichi come l’aggettivo policentrico e il sostantivo poliferia. Perché Futuro è Periferia, intesa territorio generatore di città.

Paola Bocci

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