Siamo democratiche e democratici. Abbiamo immaginato il PD, sin dalla sua nascita, come l’architrave di un centrosinistra largo, civico e con uno sguardo sul mondo. Viviamo con molta apprensione questa fase storica e siamo consapevoli di quanto il mondo sia entrato in una terra sconosciuta. Il progetto europeo che ha smarrito la sua anima, gli Stati Uniti in crisi d’identità, un nuovo ordine mondiale che ancora non si intravede: tutto questo alimenta incertezza e paure. E pesa sulla qualità e sulla capacità di tenuta delle nostre democrazie, alle prese con la crisi della rappresentanza e della fiducia.
Noi pensiamo che proprio in un passaggio come questo occorra un cambiamento profondo e una sinistra del nuovo secolo che lo interpreti. La sinistra, in Europa e nel mondo, è diventata fragile, afona, impotente. Ma il punto è esattamente questo: la sinistra sta perdendo l’appuntamento con la storia perché banalmente ha smesso di fare il suo mestiere.

Milioni di persone in tutto il mondo, che un tempo avremmo chiamato ceto medio, sono alle prese con un impatto drammatico della crisi di questi anni sulle proprie condizioni materiali, con il rischio sempre più reale di restare fuori dal mondo del lavoro. Assistiamo ad una progressiva esplosione di rabbia, che ha dei tratti persino anarcoidi, verso l’establishment di democrazie infiacchite. Una rabbia che si alimenta di paure, come quella verso i nuovi cittadini, veri “ultimi” della terra, provenienti da scenari di fame e di guerra. E paure che spingono verso populismi e chiusure xenofobe.

Siamo davanti a una condizione di impoverimento e una disuguaglianza senza precedenti, che ha bisogno di una forte azione di contrasto. Una crescita ancora troppo debole e un mercato del lavoro fragile ci dicono che non abbiamo ancora trovato la chiave giusta sul terreno delle scelte pubbliche e della politica economica. Vale per l’Europa. Vale ancora di più per l’Italia. Serve una visione condivisa del futuro e non ce la caveremo con qualche ingegneria istituzionale o quella bulimia legislativa che chiamiamo processo riformatore. Per questo non possiamo permetterci di dividere la sinistra su un referendum che riguarda la Carta costituzionale. Una responsabilità che è in capo soprattutto a chi ha il compito di guidare il PD in questo momento. Alcuni tra noi si schiereranno a favore della riforma, altri faranno una scelta diversa sostenendo le ragioni del No, come è legittimo che sia davanti a un oggetto cosi delicato come quello che riguarda le regole del nostro stare insieme.

Tutte le posizioni possono e devono trovare cittadinanza dentro la comunità dei democratici. Ma siamo convinti che il giorno dopo il Referendum, i limiti, i ritardi, il disagio profondo del paese, cosi come le sue grandi potenzialità, resteranno gli stessi. E avremo bisogno di una sinistra che non si può recintare nel Sì o nel No alla riforma di una parte della Costituzione ma che affronti e risolva le questioni del lavoro, delle disuguaglianze, del contrasto alle povertà, della redistribuzione. Che stabilisca una volta per tutte un principio redistributivo, questo sì costituzionale, ad esempio con una tassazione che abbia un tratto vero di progressività. Che ragioni di sanità, ambiente, istruzione, ricerca, legalità, cultura come quei beni collettivi, su cui fare enormi investimenti pubblici, e come gli elementi imprescindibili per produrre sviluppo e insieme sradicare le disuguaglianze. Che coniughi con maggiore efficacia modernità e diritti. Che si occupi efficacemente di quella grande questione generazionale che sta investendo l’Italia. Che guardi alle povertà non in modo compassionevole ma che sia consapevole del fatto che non puoi promuovere le eccellenze e le punte più avanzate se non ti occupi contemporaneamente di “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini impediscono il pieno sviluppo della persona umana” (come recita l’Art.3 della Costituzione Italiana). Pena diventare un partito solo di chi ce l’ha fatta e non anche di chi fa fatica a farcela. Che rimetta le persone al centro e ragioni di un’idea nuova di Paese. Che rilanci il centrosinistra, superando correnti e personalismi.

Ripartiamo dal dopo referendum. Incontriamoci a Milano, la città dove un centrosinistra largo vince da tempo grazie a quella miscela di innovazione e inclusione di cui il Paese ha bisogno. Diamoci appuntamento per Sabato 17 Dicembre. Fisseremo il luogo e lo comunicheremo. Ma il cammino lo decideremo insieme.

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